Anche il Giudice di Pace di Roma dice no.Primo, poiché semmai legittimata passiva nel giudizio promosso per ottenere la ripetizione delle commissioni bancarie, di intermediazione e della quota-parte del premio assicurativo non goduto, è la mandante e non la società Finanziaria mandataria.

Secondo, perché nel caso di specie il contratto di finanziamento esclude espressamente la ripetizione delle somme in parola.

Queste, dunque, le ragioni per cui il giudizio promosso avanti al Giudice di Pace romano si è concluso con la declaratoria di infondatezza della domanda di ripetizione e conseguente condanna dell’attore al pagamento delle spese di lite.

In particolare, questo è quanto affermato dal Giudice di Pace romano: “ai sensi degli artt. 1341 e 1342 cod. civ., risulta testualmente previsto che “in caso di anticipata estinzione del prestito gli importi indicati nelle sopra estese lettere a), b), c), d), e) – commissione bancaria, spese di intermediazione, imposte e tasse, spese di istruttoria, polizza di assicurazione – non saranno rimborsabili…“.

E ciò, precisa il Giudice di Pace, senza tener conto che, anche a voler prescindere dalla suesposta considerazione, “non risulta pregiudicato il principio di correttezza, completezza e comprensibilità, sia considerato che si tratta anche di causali riferite a copertura di attività preliminari alla concessione del finanziamento e sia valutato il Piano di Ammortamento prodotto nel quale viene operato un ricalcolo sulla base del capitale residuo, tenuto conto del fatto che la rata che viene prevista si compone, ciascuna, in relazione ad una quota di capitale e ad una quota di interessi, pertanto nel rispetto della normativa vigente in materia”.

Inevitabile, pertanto, concludere che, se da un lato la giurisprudenza continua a sostenere che, in caso di estinzione anticipata, una quota-parte di dette commissioni dev’essere restituita al Cliente secondo il criterio pro rata temporis in ragione di quanto previsto nelle raccomandazioni di Banca d’Italia del 2009 – che non hanno certo carattere vincolante – dall’altro è chiara l’esigenza di offrire una risoluzione della controversia che tenga conto della reale volontà delle parti, per come trasfusa nel regolamento negoziale.

L’impressione, dunque, è che il soffio di vento che qualche anno fa aveva iniziato a sussurrare il cambiamento, oggi sia diventato un maestrale imponente, in grado di spazzar via il solco dell’impronta lasciata da quella parte della giurisprudenza che ancora oggi continua a non tener conto del primo principio di ermeneutica contrattuale, ossia la volontà delle parti.

Giudice di Pace di Roma, sentenza n.10760 del 13.03.2018

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